Stefano Vecchia in un interessante articolo su Avvenire pubblicato il 28 settembre mette a fuoco il cambiamento di cultura in Giappone, che tende ad esaltare la solitudine, soprattutto per la fascia anziana della popolazione sempre più numerosa. In questi ultimi anni le librerie giapponesi hanno visto infatti una consistente presenza di volumi dedicati al tema della solitudine perseguita ed analizzata, in alcuni casi trasformandosi in veri e propri best-seller. La “letteratura della solitudine”, sempre più diffusa invece di mettere in allarme dai rischi dell’isolamento esalta in maniera ingannevole il carattere positivo dello stare soli.
Stefano Vecchia cita alcuni degli esponenti di questo tipo di letteratura: l’85 enne Hiroyuki Itsuki, per esempio nel suo Kodoku no Susume (Consigli per il solitario) segnala come “la ragione per il mio senso di completezza è nella mancanza di paura della solitudine”. In Gokujou no Kodoku (Solitudine di prima scelta), la scrittrice Akiko Shimojou va oltre, indicando che la “letteratura della solitudine” vuole essere una sfida aperta “all’idea che la solitudine sia un male”.
Il successo di questo tipo di libri indica un vero e proprio cambiamento antropologico legato anche alla fotografia del paese. In Giappone vivere soli è divenuta una consuetudine se pensiamo che il 30% dei nuclei familiari ha un solo componente. Il Giappone è anche uno dei paesi più vecchi al mondo e si prevede che nel 2060 gli over 65 rappresenteranno il 40% della popolazione complessiva. Alcune notizie che arrivano dal Paese del Sol levante proprio riguardo la condizione delle persone avanti negli anni sono piuttosto preoccupanti: il 20 % delle persone detenute nelle carceri giapponesi , per esempio, sono anziani che commettono piccoli reati deliberatamente ritenendo che la prigione offra condizioni di vita migliori rispetto a quelle di una vita libera. Forse tra le motivazioni che spingono gli anziani a queste scelte c’è, non solo la povertà, ma anche la ricerca di compagnia. Inoltre in Giappone sono tristemente frequenti le morti di anziani soli, il cui decesso viene spesso scoperto dopo mesi. Il fenomeno del Kodokushi, la morte per solitudine, secondo gli esperti, colpisce più di 30mila persone all’anno. Dalla metà degli anni ottanta anche il numero dei suicidi tra gli anziani è cresciuto progressivamente. Queste notizie che ci giungono, anche se in maniera frammentata, ci raccontano di un paese che non sa come prendersi cura dei propri vecchi.
L’esaltazione e la difesa di uno stile di vita solitario, sempre più diffuso anche in Europa, genera dunque molti problemi. La risposta ai bisogni di tanti anziani soli non può essere l’isolamento, scelto o imposto, ma la creazioni di reti di sussidiarietà e di aiuto intorno alle persona più fragili.
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