Il ministro delle Finanze del Giappone, sig. Taro Aso, ha recentemente dichiarato nel corso di una riunione del Consiglio nazionale per riforme sulla sicurezza sociale, che “gli anziani devono avere la possibilità di morire in fretta se lo vogliono. Mi sveglio male sapendo che tutti i trattamenti sono pagati dal governo”. In un’altra occasione, il ministro aveva espresso un pensiero simile: “Vedo anziani di 67-68 anni che, barcollanti, vanno sempre dal medico. Perché devo pagare le tasse per gente che non fa altro se non mangiare e bere?”.
La crudezza di queste affermazioni hanno causato momenti di imbarazzo al governo giapponese, ma ci sembra necessario qualche breve commento non solo sulle frasi in questione, ma anche sul pensiero da cui derivano tali prese di posizione.
Il Giappone ha una popolazione anziana in costante aumento, gli ultra-sessantenni costituiscono ¼ dei 128 milioni di giapponesi residenti. D’altra parte il 40% delle prestazioni sociali viene erogato a nuclei familiari in cui c’è almeno un anziano. Va anche considerato che nel 2010 si contavano 4,6 milioni di persone che vivevano da sole, con una prevalenza di anziani; ben il 61% di questi muore da solo in casa.
Si tratta di un paese che invecchia, e lo fa a ritmi crescenti. Ma questa non è forse la realtà anche del nostro paese, o di tanti altri e non solo nel continente europeo ma anche di molti paesi in via di sviluppo? Insomma, l’invecchiamento è un fenomeno che sta diventando globale, con cui è necessario fare i conti fin da ora.
Da ciò che dice il ministro ci sono almeno due elementi da sottolineare: l’inutilità della vita in persone anziane e la spesa sociale, il cui contributo è a carico della collettività, troppo onerosa e in definitiva non produttiva. Si tratta di contestazioni che non sono così estranee alle nostre società, dove magari sono espresse con toni più raffinati e meno brutali. Basta pensare al problema previdenziale, che se mal posto rischia di contrapporre una generazione all’altra; oppure al sistema di welfare pubblico assistenziale e sanitario, oggetto di periodici tagli finanziari, che non riesce a garantire prestazioni accettabili e gratuite, colpendo inevitabilmente le fasce più fragili della popolazione, tra cui gli anziani.
Dobbiamo ricordare come la qualità della vita dei più deboli sia uno degli indicatori più significativi del livello di etica civile e morale di una società, potremmo chiamarla il PIL della felicità. Ignorare questo vuol dire avviarsi ad essere una società forse più ricca economicamente, sicuramente più triste e frustrata, depressa nel proprio isolamento magari dorato, ma oppressa da un insopportabile vuoto esistenziale.
Bisognerebbe invitare il Ministro Taro Aso a conoscere gli amici di “Viva gli Anziani!” perché probabilmente cambierebbe subito idea e scoprirebbe un segreto della felicità. Infatti ignorare la debolezza e temere la fragilità vuol dire rassegnarsi ad una vita triste, perché incapace di voler bene davvero, innanzi tutto a se stessi. Vale invece sempre la pena di riscoprire che la vita è sempre degna di essere vissuta. E lo deve essere sempre, nel modo migliore e degno, che ogni società possa garantire per coloro che ne sono stati artefici, con la loro lunga vita e con il loro lavoro.
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