Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo una persona anziana su sei è vittima di una forma di maltrattamento nel corso della vita.
Le Nazioni Unite definiscono come abuso “ogni atto, singolo o ripetuto, o la privazione di un’azione appropriata, che si verifichi all’interno di una qualsiasi relazione in cui vi sia un’aspettativa di fiducia, e che causi danno o angoscia alla persona anziana”.
Si tratta di maltrattamenti che nella maggior parte dei casi, avvengono tra le mura domestiche o in particolari situazioni di abbandono e isolamento. Tuttavia, recentemente, stanno crescendo anche nel nostro Paese la consapevolezza e l’attenzione su un aspetto di questo fenomeno ancora poco studiato: la tipologia di maltrattamenti che colpiscono gli anziani nelle strutture socio-sanitarie.
È proprio questo l’oggetto di analisi di Luca Fazzi, ordinario di sociologia all’Università di Trento, nel suo recente volume “Il maltrattamento dell’anziano in RSA”, edito da Maggioli. Secondo Fazzi “solo a seguito dell’esplosione della pandemia e degli scandali relativi alla mortalità nelle RSA e alla chiusura prolungata delle visite da parte dei familiari si è sollevato un certo dibattito, anche se non è chiaro se esso rappresenta quella che i politologi chiamano “finestra di opportunità”, per riflettere e affrontare il problema oppure è già destinato, con l’aumento della copertura vaccinale e il calo dei contagi a essere velocemente archiviato”.
L’analisi di Fazzi, partendo dalle difficoltà concrete in cui versano le strutture oggi, legate all’impossibilità di ricevere visite in modo adeguato da parte di famigliari e volontari, si concentra sulle molte facce del maltrattamento, difficili da riconoscere e individuare. Attraverso il racconto di diverse storie, tanto emblematiche quanto “normali” nella vita quotidiana degli ospiti anziani ricoverati nelle strutture, Fazzi arriva a definire una sorta di “banalità degli abusi”, che giungono ad essere percepiti come parte di una condizione naturale dell’età o della situazione vissuta. Al di là degli episodi eclatanti, di cui pure le cronache non ci risparmiano, quelli su cui punta il riflettore Fazzi sono tanto i maltrattamenti espliciti, intenzionali quanto quelli non voluti e non percepiti come tali. Definisce una classificazione degli abusi che comprende quelli di tipo psicologico ed emotivo, fatti di disprezzo verbale e linguaggio inappropriato, oppure quelli fisici legati alla trascuratezza e all’incuria. Dall’esautorazione, che consiste nel non chiedere sistematicamente il consenso per svolgere alcune mansioni come gli spostamenti o l’igiene personale, fino alla pratica dell’infantilizzazione, che prende forma nell’attribuire nomignoli agli anziani, la sua attenzione si concentra sugli aspetti organizzativi e di routine delle strutture che, in qualche modo, normalizzano le dimenticanze, le tacite indifferenze, lasciando scarsa o nulla attenzione al vissuto degli anziani, ai loro sentimenti, all’autodeterminazione.
Interessanti, in conclusione, anche i dati riportati sul fenomeno. Tra il 2017 e il 2018 sono stati registrati 3000 episodi di violenza contestati ai gestori, con oltre 1000 vittime accertate; nelle strutture socio assistenziali quasi il 30% dei controlli effettuati per verificare irregolarità hanno dato esito positivo, mentre il dato scende al 17% nelle RSA. Si tratta, inoltre, di un fenomeno sottostimato e su cui occorrerà tornare a riflettere, poiché “per quanto riguarda il maltrattamento che non si configura come reato come quello psicologico ed emotivo e l’incuria che non ha conseguenze letali accertabili le dimensioni del fenomeno sono più che altro aneddotiche e derivate dagli episodi di violenza fisica che finiscono sui social media, le televisioni e i giornali. In media tra il 2018 e il 2020 si è avuta tuttavia notizia di un caso di violenza circa ogni due settimane”.
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