La tragica storia di Mario, l’ultranovantenne ospite della casa di riposo di Papozze, in provincia di Rovigo, morto per essersi calato dalla finestra del primo piano, legando delle lenzuola una con l’altra, ci fa riflettere sulla condizione in cui vivono gli anziani nelle strutture in Italia: due anni di pandemia da Covid-19 hanno trasformato molte RSA e case di riposo in un’eterna zona rossa, nella quale non si entra e soprattutto dalla quale non si esce. Come la vicenda di Giuseppe, 91 anni, che a maggio dello scorso anno ha tentato la fuga dalla RSA di Robbio, in provincia di Pavia, aggrappandosi a un tubo di gomma che aveva posizionato lui stesso per cercare di calarsi della finestra e uscire dall’edificio: aveva studiato la fuga approfittando del cambio turno degli infermieri, i cui orari ormai li conosceva molto bene; l’anziano è deceduto, precipitando da una altezza di circa due metri e mezzo. Anche Roma è stata toccata da un episodio simile, con un epilogo diverso: Franco, 86 anni, ad agosto dello scorso anno aveva tentato la fuga da una RSA sull’Ardeatina per fare ritorno alla sua abitazione (di cui aveva tenuto nascosto accuratamente una copia delle chiavi). Qui è stato “rintracciato” dalle forze dell’ordine e convinto a fare ritorno nella struttura, fine della “fuga”.
Ma sono davvero solo delle fughe? Vecchi un po’ confusi o incoscienti che scappano? Sono fatti gravi che mostrano la disperazione a cui sono giunti, ma anche la tenacia con cui tanti anziani rivendicano – in modo eclatante – il diritto di uscire, di incontrare i propri familiari, gli amici, i volontari. Grida di disperazione e dolore come quelle dei tanti, troppi, anziani che si sono uccisi in questi anni di pandemia lanciandosi dal balcone o dalla finestra di una RSA. Richieste di aiuto che vanno ascoltate perchè ci dicono molto dei nostri anziani: persone ancora piene di vita, sogni e speranze, che, privati di diritti e affetti, non accettano di finire i propri giorni rinchiusi “tra quattro mura”, come ha scritto Marco Impagliazzo ieri su La Nuova Sardegna: “per scorgere insieme un orizzonte differente in cui nessuna istituzione sia “totale” in senso deteriore, ma piuttosto aperta e positiva, come del resto la Costituzione e il senso d’umanità ci impongono”.
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