Il 15 maggio ricorre la Giornata Mondiale delle Famiglie, indetta dall’ONU. In molti hanno notato la sottolineatura del plurale, con cui si è voluta esprimere un’idea inclusiva di famiglia, dove c’è posto per tutti, anche per gli anziani.
Avere una famiglia quando si è vecchi, contare per qualcuno, riscoprire un’appartenenza che vinca l’isolamento in cui si è confinati nell’età in cui si perdono tanti legami: questo il messaggio, che ci trasmette Ugo, con la sua bella lettera, che volentieri pubblichiamo per celebrare questa ricorrenza: si riscopre di essere famiglia
Salve, mi chiamo Ugo, ho 67 anni e voglio raccontarvi come dopo aver letto su questo sito una toccante lettera della signora Anna ho deciso di uscire dal mio isolamento per dedicare un po’ del mio tempo agli altri. Voglio offrire uno spunto di riflessione per tutti quelli che stanno vivendo, o hanno vissuto, situazioni come la mia.
Dopo essere andato in pensione la mia vita familiare è cambiata profondamente in quanto, chi per un motivo e chi per un altro, tutti sono andati via ed io sono rimasto solo con in più un progressivo aggravarsi di una patologia neurodegenerativa che sta riducendo al lumicino la mia capacità di deambulare.
Da una vita di lavoro e familiare molto intensa sono passato alla solitudine con importanti problemi di salute. Niente male per far sedimentare e crescere la depressione.
La solitudine ti porta a pensare e ripensare alla tua situazione attuale e alle prospettive che il futuro ti potrebbe riservare.
Stando in casa e avendo una certa dimestichezza con i sistemi informatici passo molto del mio tempo su internet leggendo di tutto. Ho così trovato il sito della Comunità di Sant’Egidio e al suo interno le diverse pagine dedicate agli anziani. Sono così arrivato alla lettera della signora Anna che, in modo delicato ma toccante, racconta la sua solitudine e chiede un po’ del nostro tempo per sentirsi ancora una persona viva.
Contatto la Comunità proponendo la mia disponibilità (facendo altresì presente le mie difficoltà di movimento) e mi viene subito proposta, in aggiunta alla possibilità di dedicare del tempo alle persone anziane ricoverate in case di riposo, anche quella di partecipare all’insegnamento dell’italiano a richiedenti asilo.
Trattasi di un gruppo di ragazzi (circa 130) provenienti in gran parte dall’Africa e in parte dal Bangladesh ospitati in centri di accoglienza della Croce Rossa Italiana qui a Roma in via di Pietralata in attesa del riconoscimento della loro richiesta di asilo.
Un gruppo di persone della Comunità operante presso la locale chiesa di Santa Maria del Soccorso aveva da qualche mese iniziato a coinvolgere questi ragazzi in un corso di studio dell’italiano in modo da conseguire diversi obiettivi: toglierli dalla strada, offrire loro un modo concreto di inserirsi nella nostra realtà, farli conoscere proprio agli anziani del quartiere che sono i più fragili dal punto di vista sociale, insegnare loro l’italiano per affrontare meglio la vita in città e per poter sperare di inserirsi nel mondo del lavoro. Insomma offrire loro una speranza per il futuro.
Per l’insegnamento sono stati coinvolte progressivamente molte persone nel ruolo di “maestri” e il piccolo gruppo iniziale si è andato gradualmente arricchendo di persone provenienti dalle più diverse realtà lavorative. Infatti, oltre a insegnanti di mestiere, si sono aggregati uomini e donne che nella vita hanno fatto o stanno facendo un altro lavoro che si sono sentiti rivitalizzati con questa iniziativa ed hanno scoperto di essere una risorsa importante in grado di offrire gratuitamente il loro tempo e le loro competenze ottenendo in cambio una grande soddisfazione nel sentirsi parte attiva nella Comunità.
Troviamo maestri particolari come un ex regista che ha superato gli 80 anni e che si dedica ai ragazzi anche con iniziative culturali esterne fino ad arrivare ad un nucleo familiare al completo padre, madre e figlia come insegnanti, poi una coppia di fidanzati, un medico etc.. Recentemente si sono aggiunte ai maestri delle ragazze provenienti da un vicino liceo artistico che, nonostante siano all’ultimo anno e in prossimità degli esami, vengono e si affiancano ai maestri in questa iniziativa.
Azioni concrete, non solo parole.
Con molto timore iniziale, ma supportato da uno spirito di gruppo, ho iniziato anche io a collaborare a questa iniziativa con una funzione di supporto in aula per poi arrivare ad avere una classe tutta mia. Sono così diventato un “maestro” e sistematicamente partecipo a questa bella iniziativa.
Ma la soddisfazione più grande, oltre al fatto di insegnare loro l’italiano, è stata quella di poter offrire ai ragazzi una sensazione perduta: avere una famiglia, delle persone che si occupano di loro e dei loro bisogni che offrono affetto e sostegno. Soprattutto parlare con loro, ascoltarli, donare loro il nostro tempo.
Posso testimoniare che questi ragazzi mi danno molto di più di quello che io posso donare loro. Mi sento utile a qualcuno e questa sensazione mi spinge a vincere la debolezza delle mie gambe e mi costringe ad uscire di casa e rompere l’isolamento.
Una dimostrazione ulteriore della ricchezza e positività che molte persone anche se anziane e piene di acciacchi possono rappresentare per gli altri ma soprattutto per se stessi.
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