Il recente studio “Malati e caregiver invecchiano insieme”, realizzato da Censis e Aima (Associazione italiana malattia di Alzheimer) evidenzia come stia progressivamente cambiando il mondo dei malati di Alzheimer e delle loro famiglie. I dati, molto dettagliati, raccolti in questo studio, forniscono elementi utili su cui meditare per programmare in modo adeguato forme di assistenza nel futuro. Ketty Vaccaro, responsabile dell’Area Welfare e Salute del Censis, ha spiegato :“ E’ un mondo che invecchia e cresce l’impatto della malattia in termini di isolamento sociale. La famiglia è ancora il fulcro dell’assistenza, ma può contare su una disponibilità di servizi che nel tempo si è ulteriormente ristretta, mentre sono ancora presenti le profonde differenziazioni territoriali dell’offerta”.
Ultimamente il bel film “Still Alice” , storia di una donna colpita da una rara forma di Alzheimer giovanile, ha fatto riflettere sulle numerose difficoltà che i malati e le loro famiglie devono affrontare nella quotidianità. Non solo i problemi legati al fatto di dover coprire numerose ore di assistenza, ma anche lo spaesamento e la fatica di vedere i propri cari perdere progressivamente memoria e punti di riferimento.
Sono 600.000 i malati di Alzheimer in Italia e a causa dell’invecchiamento della popolazione sono destinati ad aumentare (l’Italia è il Paese più longevo d’Europa, con 13,4 milioni gli ultrasessantenni, pari al 22% della popolazione). L’Adi (Alzheimer’s Disease International) ha stimato a livello mondiale per il 2015 oltre 9,9 milioni di nuovi casi di demenza all’anno, cioè un nuovo caso ogni 3,2 secondi.
Un dato su cui riflettere è quello relativo ai costi di assistenza che ammontano attualmente a oltre 11 miliardi di euro, di cui il 73% a carico delle famiglie. Aumenta la quota di malati che vivono in casa propria, in particolare soli con il coniuge (sono il 34,3% nel 2015, erano il 22,9% del 2006) o soli con un assistente a pagamento (aumentati dal 12,7% al 17,7%). Il costo medio annuo per paziente è pari a 70.587 euro, comprensivo dei costi a carico del Servizio sanitario nazionale, di quelli che ricadono direttamente sulle famiglie e dei costi indiretti (gli oneri di assistenza che pesano su ‘caregiver’ o operatore, i mancati redditi da lavoro dei pazienti). E’ evidente lo sbilanciamento che esiste tra le spese sostenute dalle famiglie e il contributo dello Stato.
Poiché solo il 38 % dei malati può permettersi un’assistenza a pagamento, sono spesso i soli familiari a prendersi cura dei malati.
Dalla ricerca del Censis emerge che l’età media dei malati di Alzheimer è 78,8 anni (era di 77,8 anni nel 2006 e di 73,6 anni nel 1999). Il 72% dei pazienti è costituito da pensionati (22 punti percentuali in più rispetto al 2006). E sono invecchiati anche i caregiver impegnati nella loro assistenza: hanno mediamente 59,2 anni (avevano 54,8 anni nel 2006 e 53,3 anni nel 1999).
Il 40% dei caregiver, pur essendo in età lavorativa, non lavora e rispetto a 10 anni fa è triplicata la percentuale dei disoccupati (10% nel 2015, 3,2% nel 2006). Il fatto di ricevere troppo poco aiuto ed assistenza pubblica talvolta obbliga a ridurre drasticamente i propri impegni lavorativi. L’impegno del caregiver determina conseguenze anche sullo stato di salute, in particolare tra le donne: l’80,3% accusa stanchezza, il 63,2% non dorme a sufficienza, il 45,3% afferma di soffrire di depressione, il 26,1% si ammala spesso. La badante, per chi può permettersela, rimane dunque una figura centrale nell’assistenza ai malati, alleggerendo il carico di lavoro che spesso ricade su coniugi avanti negli anni. Ma non dovrebbe essere l’unico elemento di sollievo per le famiglie.
Purtroppo è diminuito di 10 punti percentuali rispetto al 2006 il numero dei pazienti seguiti da una Unità Valutativa Alzheimer o da un centro pubblico (56,6%). Quando la patologia è più grave il dato è ancora più basso (46%). E’ ugualmente diminuito il ricorso a tutti i servizi per l’assistenza e la cura dei malati di Alzheimer: centri diurni (dal 24,9% al 12,5% dei malati), ricoveri in ospedale o in strutture riabilitative e assistenziali (dal 20,9% al 16,6%), assistenza domiciliare integrata e socio-assistenziale (dal 18,5% all’attuale 11,2%). Appare evidente che una delle strade per ridurre l’isolamento sociale dei malati di Alzheimer è l’incremento di tutte le forme di assistenza pubblica e la ramificazione sul territorio dei servizi. Non si può infatti credere che i parenti dei malati, che stanno progressivamente invecchiando, possano continuare nel futuro a farsi carico da soli dell’assistenza.
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