Una fitta corrispondenza unilaterale fra madre e figlia dalla casa di riposo: questo in sintesi la trama del bel romanzo di Anna Maria Zanchetta “Dalla casa del tempo perduto”, edito da Editrice Veneta – Vicenza 2012. L’autrice del volume sembra conoscere molto a fondo le pieghe della vita della casa di riposo e le descrive con il tono graffiante e struggente di una madre, finita lì per decisione della figlia, alla quale dichiara già dalle prime pagine di non aver perdonato questa scelta. Ne mette in luce le contradizioni, le ipocrisie, ma anche i legami forti e inaspettati, che si vengono a creare fra persone sconosciute e indesiderate fino a poco tempo prima. Descrive le storture della burocrazia: i controlli di qualità che non sortiscono altro effetto, che essere a loro volta destabilizzanti per gli ospiti della struttura, le omissioni e tanto altro. Ma quello che colpisce più di tutto è il racconto delle storie degli anziani: descrizioni di un naufragio umano con tanti coprotagonisti, primi fra tutti i figli, che quasi sempre caldeggiano, consigliano o impongono la scelta della casa di riposo, adducendo motivi di opportunità e di organizzazione. Nell’ultima amara lettera che la madre scrive alla figlia, leggiamo tutto il dolore di una generazione, che si sente tradita e che svela il segreto di tanta paura della vecchiaia: “Noi siamo diventati uno specchio, lo specchio delle vostre coscienze. Siamo diventati voi domani. Per questo vi facciamo paura” e richiama le generazioni più giovani alla loro responsabilità.
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