Come è noto l’Italia è oggi il paese, insieme alla Germania con il più alto tasso di invecchiamento in Europa. Ma a differenza di altri paesi europei sembra non accorgersene! Giustamente la rubrica “Domande all’Europa” della rivista “Welfare Oggi”, diretta da Cristiano Gori, dedica uno speciale approfondimento alle strategie messe in atto a livello europeo, che vengono definite ” politiche di domiciliarità globale”, un termine che non comprende solo i classici servizi di assistenza domiciliare, ma anche l’ housing sociale ed i sistemi di servizi integrati e si analizza a tal proposito la questione delle soluzioni abitative protette per anziani, confrontando le buone prassi internazionali con la realtà italiana. Il paragone è da brividi: la percentuale di persone over 65 che ricevono cure domiciliari di lungo termine traccia una chiara linea di separazione tra il Nord dell’Europa, con punte oltre il 20% della popolazione anziana in Danimarca, Olanda, Islanda e i Paesi nordici in generale sopra il 10% e l’area-sud, sotto la media europea del 7-8% nel 2009 con un dato italiano stimato intorno al 3% (dati della Conference on Healty and Dignified Ageing di quell’anno).
Questa radicale differenza corrisponde alla reale demarcazione tra le politiche di medio-lungo termine adottate dai Paesi del Nord Europa che hanno adottato da molto tempo linee-guida progettuali strategiche per l’invecchiamento demografico e nazioni con sistemi legati alla risposta immediata all’emergenza senza ancora un’elaborazione prospettica precisa per il prossimo futuro del loro welfare. In questo modo la Finlandia, mantenendo e potenziando i propri servizi di home care, attestati intorno al 10,7% di una popolazione anziana sempre in crescita, ha ridotto l’istituzionalizzazione degli anziani dal 6,2% del 1995 al 2,5% del 2010; meglio ha fatto la Danimarca che dal 1987 al 1996 ha ridotto i posti letto istituzionali da cinquantamila a trentaseimila unità portate poi nei dieci anni successivi, nel 2006 a ventiseimila unità a fronte di una residenzialità sociale passata a cinquantatremila unità il tutto mentre in Italia l’home care (1999-2009) passava dal 3 al 3,2% e i ricoveri in istituto dal 2,7 al 3%.
Una circoscritta sottoanalisi della realtà belga mostra un piccolo ma significativo dato sulle potenzialità di queste politiche di protezione territoriale: nella regione fiamminga, dove la funzione dei servizi di supporto domiciliare raggiunge quote del 30%, il ricorso a cure mediche è stimato intorno all’8%, contro un 17% dell’area Bruxelles dove l’home care non supera il 13%.
In questo contesto non solo l’Italia è il Paese che nell’Europa dei 15 ha all’attivo una tra le percentuali più basse di anziani assistiti in istituzione e a domicilio, seguito solo da Spagna, Portogallo e Grecia, ma, quel che è peggio, non sembra al momento aver evidenziato per il futuro alcuna strategia nazionale in proposito, una di quelle linee-guida che la maggior parte dei Paesi europei sembra aver adottato da almeno un decennio. I dati Istat più attuali documentano un 4,9% di diffusione dei servizi domiciliari contro una media europea arrivata al 13%.
Diversa la situazione sulla residenzialità, dove le stime più recenti ci attribuiscono un 3% di residenzialità istituzionale contro valori europei del 6-8%, dato non necessariamente negativo, anzi compensato dal cosiddetto sistema di Welfare all'”italiana”, tenuto in piedi dalle reti informali, di cui sono parte consistente le famiglie e le “badanti”, che hanno il merito di garantire la permanenza degli anziani presso il loro domicilio abituale, anche in condizioni gravi e gravissime.
“Prima che stanziamenti e moltiplicazioni acritiche di posti-letto, servono oggi linee programmatiche per il medio e lungo termine – conclude l’articolo -, adeguatamente preparati da una seria riflessione strategica, fondata su esperienze e good practices documentate; sperimentazioni validate di modelli innovativi; agevolate da una sostanziale de-burocratizzazione degli attuali assurgici criteri di accreditamento; sostegno all’housing sociale, riqualificato e premiato sulla base della reale cifra sociale della progettazione; decentramento amministrativo, restituendo agli Enti Locali quelle responsabilità autorizzative e di vigilanza che hanno fatto la fortuna dei sistemi più evoluti del Nord Europa”. (Daniele Iacopini)
(11 febbraio 2014)
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