Nel dettaglio, la classifica prende in esame quattro indicatori: sicurezza del reddito, salute, lavoro e formazione, condizioni ambientali favorevoli. Il reddito, ad esempio, comprende a sua volta ulteriori indicatori: dalle pensioni al welfare al PIl pro capite. La salute, invece, prende in esame le aspettative di vita e il benessere psicologico, mentre l’ambiente favorevole si concentra sui legami sociali, l’accesso al trasporto pubblico e la sicurezza fisica.
Sulla sicurezza del reddito, ad esempio, l’Italia fa meglio di Svezia e Germania, scalando la classifica fino ad arrivare al 6° posto e un punteggio pari a 88 (la Svezia si ferma a 87, la Germania a 86.1).
Un esito sorprendente se si guarda alle pensioni italiane, che è spiegabile forse con la valutazione del risparmio e della proprietà dell’abitazione. Sulla salute, invece, l’Italia totalizza 73 punti piazzandosi 15esima. Ma è tanto sull’istruzione (62esima) quanto sull’ambiente (53esima) che il “crollo” è evidente: siamo in linea con la Grecia, 61esima sull’istruzione, e con la Georgia, 54esima sui temi legati all’ambiente.
Il rapporto, inoltre, lancia l’allarme sui paesi a più rapido invecchiamento – Giordania, Laos, Mongolia, Nicaragua e Vietnam, che cadono tutti nella metà inferiore della classifica e dove il numero di persone anziane sarà più che triplicato entro il 2050. La lista copre l’89% della popolazione anziana mondiale di 900 milioni di persone in 91 Paesi. Dalle analisi emerge che la ricchezza – o il Pil (Prodotto interno lordo) pro capite – da solo non basta affatto quando si tratta del benessere degli anziani: la crescita economica, infatti, non impedisce alla Cina di essere al 35esimo posto, e Paesi come Sri Lanka, Bolivia e Mauritius sono risultati più accoglienti di molte nazioni più ricche nei confronti degli anziani.
In fondo alla classifica Pakistan, Tanzania e Afghanistan. Il report è disponibile su www.helpage.org.
Anche dalla lettura di questi dati emerge per l’Italia un impianto legislativo e di sicurezza sociale positivo, perché pensato dai primi anni del ‘900 con il criterio della protezione sociale universale, che sicuramente va riformato, ma non abbandonato, se non si vuole invertire il trend.
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