
Non è un segreto che l’invecchiamento della popolazione italiana, unito alla frammentazione della famiglia tradizionale, costituisca già da parecchi anni una tendenza in aumento, che continuerà sicuramente almeno nei prossimi 15-20 anni. Ciò che la ricerca mette in evidenza è che l’aumento della domanda di assistenza e cura domiciliare porterà ad un fabbisogno di almeno mezzo milione di collaboratori in più nel 2030. Cioè, 500.000 posti di lavoro, per altrettanti anziani che sceglieranno di rimanere in casa.
Il boom delle badanti, in Italia, è stato un fenomeno spontaneo, favorito anche dall’assenza di servizi pubblici dedicati, alimentato dal passaparola e dal contatto diretto tra datore di lavoro e dipendente. Dall’iniziale “deregulation” si è passati poi ad una dimensione più solida e tutelata del rapporto di lavoro: la maggior parte delle badanti percepisce regolarmente stipendio, contributi, ferie, malattia, tredicesima e liquidazione. Oltretutto il 70% considera il proprio lavoro come “stabile e soddisfacente”. Da parte delle famiglie, poi, l’impegno economico è si rilevante ( la media è di 667 euro al mese, ma si arriva ai 900), tuttavia sicuramente meno oneroso della quota di qua
lsiasi istituto o casa di riposo.
Le suggestioni che questo studio propone sono numerose ed interessanti: facilitare l’incontro tra domanda e offerta, oggi ancora appannaggio di passaparola o di associazioni di volontariato. Spostare i costi assistenziali dello stato a favore di una maggiore domiciliarità.
Fornire un quadro giuridico che preveda varie formule di assistenza alla persona, tutelando chi presta il servizio e chi ne gode.
Estendere l’iscrizione del collaboratore ad un registro di collocamento, ed insieme favorirne la formazione.
Forse anche per i circa 3 milioni di disoccupati italiani questa potrebbe essere un’appetibile scelta lavorativa.
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